Lilly vive in una casa abbandonata nel mezzo della foresta. Accende i falò, sega la legna, martella i chiodi e gioca nel fango insieme ai suoi due fratelli.
Ma le circostanze portano Lilly e la sua famiglia via dalla loro casa, in una casetta in città, lontana dalla natura.
Riuscirà questa bambina di 9 anni a mettere radici?
Diretto da Sanne Rovers
Fotografia: Jefrim Rothuizen
Suono: Bouwe Mulder
Montaggio: Tim Roza
Musica: Michiel Thomassen
Traduzione: Giorgia Frigerio, Elisabetta De Laurentis
Intervista
Sanne Rovers
Regista
“Più o meno ogni anno, tutta la famiglia guarda ancora il mio film, è un ricordo così bello per loro! È come tornare indietro nel tempo per 15 minuti.”
- Parlaci di te, Sanne.
Sono una documentarista, ma non ho avuto una formazione da regista. All’università ho studiato Lingue e Culture, specializzandomi in cinema e televisione, per i quali avevo una passione.
A un certo punto mi sono detta: “Oh! Posso studiare cinema, ma posso anche diventare una regista!”. Ho cominciato facendo volontariato presso un’emittente televisiva locale e ho frequentato un corso tecnico di ripresa e montaggio. Poi, ho girato un cortometraggio documentario di 50 minuti in Venezuela, insieme a Eva van Roekel, un’amica che viveva temporaneamente lì nel 2009.
Il primo film è stato una sorta di biglietto per partecipare a Kids & Docs. Si tratta di un workshop nei Paesi Bassi per lo sviluppo di cortometraggi documentari sui giovani e sul pubblico giovane, organizzato da IDFA e Cinekid, un festival di cinema per ragazzi. É stato durante questo workshop che ho realizzato “Wild Lilly”.
- Come hai conosciuto Lilly e la sua famiglia?
Al tempo, la comunità degli squatter era piuttosto attiva nei Paesi Bassi, ma il governo stava introducendo una nuova legge che vietasse lo squatting in tutta la nazione.
Ciò significava che numerose comunità sarebbero semplicemente sparite, e pensavo che fosse un peccato. Moltissime famiglie occupavano quei luoghi e avrebbero dovuto trasferirsi.
Contattai numerose persone, finché trovai un preciso luogo tra i boschi dove non ero mai stata prima. Incontrai diverse famiglie che vivevano lì e la famiglia di Lilly è quella che mi colpì di più. Lei aveva 9 anni, l’età perfetta per poter riflettere sulla propria situazione. La demolizione sarebbe avvenuta in tempi molto brevi, perciò tutto fu fatto velocemente.
- Si può pensare che non sia facile fidarsi di un regista che vuole filmare dei bambini. Come hai convinto Maaike, la mamma di Lilly?
Le ho detto che volevo realizzare un ritratto del loro modo di vivere. Per mostrare come avevano vissuto lì, nel bosco, per tutto quel tempo, e per mostrare il cambiamento che la sua famiglia stava per affrontare.
Penso che per Maaike il film sia stato anche un bel modo per immortalare il luogo in cui i suoi figli sono nati, cresciuti e in cui hanno tanti ricordi.
Quando mi hai detto di questa intervista, ho pensato di chiamare Maaike, perché non parlavamo da un po’. Le ho telefonato ieri e mi ha detto che più o meno ogni anno, tutta la famiglia guarda ancora il mio film, è un ricordo bellissimo per loro! È come tornare indietro nel tempo per 15 minuti, e credo che Maaike l’avesse capito fin da subito. Aveva capito che un giorno, in futuro, l’avrebbero guardato insieme, come fosse un modo per ricordare questo momento che ha segnato la loro infanzia.
“C’è sempre un rapporto particolare tra un regista e il ‘protagonista’. Qualcosa di speciale.”
- Cosa c’è di diverso quando filmi i bambini?
La cosa più importante è catturare la realtà al livello di un bambino. La videocamera non deve guardarli dall’alto in basso, bisogna rimanere al loro livello.
L’altra particolarità è quella di usare la telecamera a mano libera, per essere in linea con la vivacità dei bambini, che sono sempre in movimento. Volevo avere una ripresa molto vivace dei bambini che giocano nei boschi e per le strade, e uno stile di ripresa invece più rigoroso quando i bambini arrivano nella loro nuova casa, quando sembrano annoiati e tristi, rinchiusi tra tutti i mattoni.
Inoltre, se si intervista un adulto, l’intervista può durare un’ora o anche un’ora e mezza. Ma con un bambino è difficile superare i 20 minuti o la mezz’ora!
- Diresti che è più spontaneo, più naturale filmare i bambini?
Dipende molto dall’argomento che si tratta. Se si gira un film su un bambino che sta attraversando problemi gravi, come una malattia, la cecità o l’autismo, penso che sarebbe completamente diverso e molto più difficile.
Ho realizzato tre documentari sui bambini e uno sugli adolescenti. Hanno tutti qualcosa in comune: riguardano la libertà, la giocosità e l’inventiva dei bambini. È un aspetto che mi piace molto.
- Come sta Lilly oggi? Dovrebbe avere una ventina d’anni!
Lilly ha 21 anni! Sono ancora in contatto con sua madre attraverso Facebook, o quando succede qualcosa che riguarda il film. Le ho detto che il film sarebbe andato in onda su 99, per esempio, e ne è molto entusiasta.
Lilly sta molto bene, così come i suoi fratelli Melvin e Robbin. Adesso sta studiando e vive ancora con la madre. Non vivono più nella casa che si vede nel film, vivono in un altro villaggio, più vicino alla natura.
Sono ancora in contatto con molte persone che sono apparse nei miei film, ad alcune di loro sono molto legata ora. C’è sempre un rapporto particolare tra un regista e il “soggetto”, il “protagonista”, se così si può dire. Qualcosa di speciale.
- Adesso quali sono i tuoi progetti?
Innanzitutto sono sopravvissuta come regista all’intera crisi dovuta al COVID, riuscendo a realizzare due film!
Con altri 11 registi, ho girato un intero film dietro il mio computer durante il primo lockdown, il che è stato abbastanza strano… Si chiama “#Lockdocs”. Abbiamo coinvolto bambini olandesi da tutti i Paesi Bassi, ma anche in altri Paesi, che dovevano filmarsi con gli smartphone. Li abbiamo anche intervistati tramite Zoom; l’idea era di capire come stavano vivendo l’isolamento.
Ho anche realizzato un documentario di 66 minuti sull’Opera Nazionale Olandese, intitolato “Crazy Days”. Come si fanno le prove di un’opera nel bel mezzo di una crisi sanitaria? Indossando maschere, stando a un metro e mezzo di distanza l’uno dall’altro, temendo che il teatro dell’Opera possa essere chiuso in qualsiasi momento…
Al momento mi sto dedicando ad un progetto a cui stavo lavorando prima della crisi del Coronavirus. È un film sul volontariato nella natura nei Paesi Bassi. Sarà come un mosaico, con molte persone che seguiamo attraverso le stagioni.
- Un pensiero riguardo a 99 e all’adattamento del tuo film in diverse lingue?
Se un regista carica un film su Vimeo, chiunque potrà vederlo ma… nessuno lo troverà!
Penso che sia fantastico avere una piattaforma curata come 99, perché persone di altri Paesi potranno vedere il mio film.