- Parte 1: Atene (9′)
- Parte 2: Sopravvivere (16′)
- Parte 3: Partire (10′)
- Parte 4: Il cammino (14′)
“L’Avventura” è il nome dato da alcuni africani al viaggio che intraprendono per migrare in Europa. Tre giovani ivoriani sono entrati in Europa da clandestini, attraverso la frontiera tra Turchia e Grecia. Vogliono continuare il loro viaggio verso ovest, ma i regolamenti europei li obbligano a restare nel paese dal quale sono entrati nell’Unione : la Grecia.
“L’Avventura” segue un anno della loro vita ad Atene. La loro ossessione è lasciare la Grecia. Ciò di cui hanno bisogno sono soldi e fortuna.
Regia: Grégory Lassalle
Montaggio: Luc Plantier
Suono: Manolis Makridakis
Mixaggio: Clément Chauvelle / Brodkast
Color grading: Jean Coudsi
Adattamento: Escarlata Sánchez, Lena Roche, Nuno Prudêncio, Diego Giuliani & Adrian Lancashire
Intervista
« Volevo che sentissero che ero dalla loro parte così come lo era la mia telecamera. »
- Raccontaci qualcosa di te. Qual è il tuo percorso?
Credo che ci siano due cose che mi hanno sempre motivato: capire la Storia (quella con la S maiuscola) e capire la vita delle persone. Questi sono i due pilastri della mia vita. Ho scoperto la solidarietà internazionale, poi il giornalismo e, infine, i documentari. Attraverso i miei film cerco di dare alla gente uno sguardo su questi due elementi: la storia e la vita delle persone. Voglio raccontare le storie di persone intrappolate nelle correnti della Storia, le loro speranze, le loro forze e le sfide che devono affrontare.
Tra il 2003 e il 2010 ho lavorato su diversi progetti, uno dopo l’altro: con gli agricoltori Maya in Guatemala, con i migranti bloccati in Grecia durante la grande ondata migratoria degli anni 2010, con i lavoratori e gli agricoltori che hanno vissuto in Argentina durante uno dei suoi periodi di prosperità petrolifera. Oggi mi trovo in Francia con gli ex-detenuti per lavorare sulle loro vite dopo aver finito di scontare lunghe pene detentive.
Il mio approccio si basa su immersioni necessariamente lunghe che mi permettono di comprendere al meglio i fenomeni che mi prefiggo di descrivere. In genere queste immersioni mi permettono di costruire un rapporto di amicizia e di grande fiducia che reputo indispensabile poiché il progetto diventerà frutto di un’impresa collettiva, sebbene sia stato io ad avviarlo.
- Come sei entrato in contatto con i tre protagonisti del film?
Nella strada dei nuovi richiedenti asilo ad Atene. Chiamata “Allodapon” dai greci, è stata ribattezzata “Al Capone” dai migranti. È una strada buia nella periferia di Atene dove centinaia di migranti facevano la coda, giorno e notte, nella speranza di essere scelti dalla polizia greca per ottenere il permesso di soggiorno.
Mi sono avvicinato soprattutto alle persone che parlavano il francese affinché comunicare fosse più facile. Nourou, dalla Costa d’Avorio, mi ha presentato Loss, il protagonista principale del mio film. Un giorno mi ha portato a casa sua: un appartamento con un soggiorno che diventava camera da letto dove viveva insieme a 18 suoi connazionali nel quartiere di Kypseli o “quartiere nero”, come lo definì lui. Lì ho conosciuto il suo grande amico Moussa e Madess che, poi, sono diventati gli altri protagonisti del progetto.
Come sono andate le riprese? Cosa hai dovuto affrontare?
A livello umano, non ci sono stati particolari problemi. Dovevo solo preoccuparmi di costruire un rapporto di rispetto e di fiducia con i miei protagonisti, in modo che non percepissero le mie riprese come un altro “calvario”. Dico “calvario” perché i migranti subiscono molte violenze durante i loro viaggi (da parte della polizia, dei trafficanti di esseri umani, di altri migranti, delle popolazioni locali) e non volevo che questo progetto diventasse l’ennesima brutta esperienza per loro.
Volevo che sentissero che ero dalla loro parte così come lo era la mia telecamera, anche se riprendeva alcuni momenti delicati. Il più difficile di tutti, in realtà, è stato con la polizia greca, soprattutto quando abbiamo cercato di attraversare il confine con la Macedonia del Nord.
- Qual è il tuo punto di vista sull’argomento trattato nel tuo film?
La migrazione è un processo difficile. Con questo film ho voluto raccontare una storia di migrazione focalizzandomi sui rapporti umani e le difficoltà individuali che si devono affrontare. Presento, dunque, uno sguardo personale con l’obiettivo di aiutarci a capire che la migrazione, indipendentemente dal motivo per cui una persona è obbligata a vivere questa esperienza, è piena di sofferenza. È essenziale, quindi, prestare attenzione a queste persone e vederle sotto una luce positiva.
« I miei film possono essere considerati “oscuri”, o incentrati sulle difficoltà
o sulla malinconia »
- Come descriveresti il tuo stile nella forma e nel contenuto?
Sono a favore di un cinema diretto e immersivo, così da essere il più vicino possibile ai personaggi e ai loro pensieri più intimi. Nutro interesse per l’esperienza soggettiva delle persone. Questo è il mio approccio. Cerco sempre di avvicinarmi ai protagonisti e a quello che dicono e sentono. Di solito sono fisicamente vicino a loro con la mia telecamera, ma voglio anche usare i cosiddetti “tableaux” per collocare i protagonisti nell’ambientazione delle loro storie.
I miei film possono essere considerati “oscuri”, o incentrati sulle difficoltà o sulla malinconia, ed è anche possibile che queste cose mi motivino. Le riprese delle varie sfaccettature della realtà avvengono, in genere, in modo semplice. La squadra è composta da un numero limitato di persone: due. Io filmo e mi occupo dell’audio allo stesso tempo, oppure lavoro con un cameraman ed entrambi ci occupiamo dell’audio.
- Hai avuto notizie di Loss, Moussa e Madess? Cosa ne è stato di loro?
Loss è il mio migliore amico. Dal suo arrivo in Francia, cinque anni fa, abbiamo unito le forze per costruirgli una vita qui. Trovare lavoro e poi ottenere i documenti è stato un processo davvero lungo e faticoso per lui. La nostra amicizia è frutto di questa solidarietà e ora siamo molto legati. Lavora come meccanico d’auto. Quest’estate (2019) andremo in Costa d’Avorio, così lui potrà finalmente rivedere la sua famiglia e io potrò conoscerla.
Sono anche in contatto con Moussa e Madess, ma li vedo meno. Vivono entrambi a Parigi. Madess ha ancora problemi a ottenere la residenza. La situazione di Moussa, invece, è più stabile. Verrà in Costa d’Avorio con noi quest’estate.
- Quali progetti hai in corso al momento?
Sto lavorando sulla vita degli ex detenuti dopo che sono stati in prigione per molto tempo. Torniamo al 2017, sono un ex-rapinatore che ha trascorso 25 anni in prigione (dieci dei quali in isolamento) e che ora prosegue la sua vita fuori. Che tipo di vita puoi avere dopo essere stato dentro per così tanto tempo? Il reinserimento di queste persone, così come lo indica il sistema, è effettivamente possibile?
Dopo due anni e mezzo di riprese del mio protagonista principale e delle persone a lui vicine (membri della famiglia e altri prigionieri), ho un quadro della situazione piuttosto cupo. Non credo sia veramente possibile reinserirsi dopo essere stati rinchiusi per così tanto tempo. E, se succedesse, sarebbe un’eccezione alla regola.
- Una parola sull’adattamento multilingue del tuo film con 99?
È una grande opportunità per noi registi, senza ombra di dubbio, è anche un vero piacere far parte di un sistema che non rientra nell’industria del documentario classico, altamente commerciale. Sono felice di aver lavorato con una squadra così attenta.