Artisti da marciapiede, per sfamare le famiglie e regalare un futuro ai figli.
Sogni, quotidianità e paure di tre rumeni, che per le vie di Londra scolpiscono dei cani di sabbia.
Opere che i passanti notano appena, alla stregua dei loro autori.
Diretto da Tal Amiran
Fotografia, montaggio: Tal Amiran
Suono: Rick Blything
Musica: Oli Harrison
Effetti sonori: Louise Brown
Adattamento: Diego Giuliani, Camilla Sartorio (Libera università di lingue e comunicazione)
Intervista
Tal Amiran
Direttore
“Quando si gira un documentario,
si ha a che fare con persone reali,
non con attori,
e inevitabilmente finisco per stringere
una stretta amicizia con i personaggi.”
- Com’è nato il progetto?
L’idea di realizzare ‘’Uomini di Sabbia’’ mi è venuta per puro caso. In realtà, stavo lavorando a un altro film quando una mattina, mentre stavo andando al mio studio in bicicletta, sono passato davanti a una scultura di sabbia di un cane sul marciapiede di Holloway Road, una strada molto trafficata di Londra. Mi sono fermato subito per dare un’occhiata.
È stato piuttosto surreale, una scultura di sabbia di un cane, che si vede per lo più in vacanza su una spiaggia assolata, su uno squallido marciapiede. Mi sono fermato e per alcuni minuti ho osservato la scultura e lo scultore, che ho poi scoperto essere rumeno. Solo più tardi mi sono reso conto che si trattava di un fenomeno più ampio e che molti altri rumeni realizzano simili statue di sabbia sui marciapiedi di tutto il Regno Unito.
- Come è entrato in contatto con Aurel, Neculai e Raj?
Trovare i partecipanti non è stato facile come pensavo: mi era stato detto che c’erano parecchi scultori di sabbia sparsi per North e West London, ma trovarli è stata un’impresa.
Le persone che mi avevano detto di averli visti mi hanno dato delle ‘’dritte’’ e ho chiesto ai negozianti di chiamarmi quando si imbattevano in uno scultore di sabbia, visto che gli scultori si spostavano spesso ed erano difficili da rintracciare! Sono andato in alcuni di quei luoghi, ma non sempre ho avuto la fortuna di trovarli. Poi ho incontrato Aurel, Neculai e Raj. Abbiamo iniziato a parlare e lentamente abbiamo costruito un rapporto di fiducia e amicizia, che mi ha permesso di portare avanti il progetto.
La sfida principale che ho affrontato durante la produzione in realtà era costituita dalla barriera linguistica, visto che nessuno dei tre personaggi del film parlava inglese. Dovevamo comunicare usando l’app di Google Traduttore sul mio telefono e anche degli interpreti. Non ci sarebbe stato il film senza l’aiuto dei tre fantastici interpreti rumeni che hanno lavorato con me durante la produzione e la post produzione.
- Ha scelto immagini esemplificative che mostravano una Londra grigia e spenta, in crisi, in declino. Abbiamo inoltre percepito una certa distanza nel Suo modo di raccontare la storia. Qual è stato il Suo approccio?
Nei miei due ultimi brevi documentari ho utilizzato un approccio stilistico simile nella forma, ho girato in stile vérité e poi ho condotto delle interviste audio ai miei partecipanti, che poi sono state usate come voice over nel filmato osservativo che ho girato.
Non parto mai con dei preconcetti quando giro un film. All’inizio ho sempre una pura curiosità per il tema e le persone, dato che devo imparare ed esplorare un tema e conoscere i partecipanti. Tuttavia, c’è sempre un tema più grande che mi interessa quando devo girare un film e in ‘’Uomini di Sabbia’’ era l’immigrazione e il sentimento anti-immigrazione in Inghilterra degli ultimi anni, che ha poi portato ai risultati del referendum della Brexit, che trovo davvero deprimenti. Spero di essere in grado di raccontare una storia più grande concentrandomi sulle storie individuali senza essere didascalico e senza dire al pubblico cosa pensare.
Nei miei film invito il pubblico a partire per un viaggio, facendosi una propria opinione. Il film deve avere un finale aperto e lo spettatore deve sentirsi libero di esprimere i propri pensieri e le proprie emozioni.
- È ancora in contatto con Aurel, Neculai e Raj?
Sono ancora in stretto contatto con due dei personaggi del film. Quando si gira un documentario, si ha a che fare con persone reali, non con attori, e inevitabilmente finisco per stringere una stretta amicizia con i personaggi.
Si crea un legame tra me e i partecipanti. Magari non parliamo al telefono ogni mese, ma ci teniamo in contatto e sono sempre contento di aiutare, se posso. In realtà a quel tempo ho anche lanciato una campagna su GoFundMe per aiutare i partecipanti del film.
- Ci può dire qualcosa dei Suoi progetti in corso?
Attualmente sto lavorando alla produzione del mio nuovo film. Quello che posso dire in questo momento è che il film è ambientato a Parigi e che anche questo si concentra sul tema dell’immigrazione, ma con un approccio leggermente diverso.
Il film inoltre sarà più lungo dei miei due corti precedenti e non vedo l’ora di condividerlo con il pubblico una volta che sarà finito!
- Qualche parola su 99 e sulla sottotitolazione multilingue del Suo film?
Apprezzo davvero il lavoro di 99. Non capita spesso che un film venga tradotto in diverse lingue e penso che il lavoro che fa sia davvero importante, ampliando la portata del film, rendendolo accessibile a un pubblico che altrimenti potrebbe non avere la possibilità di vedere questi film a causa della barriera linguistica.